Il matematico J. Napier detto Nepero (1550-1617) collegamenti relativi alla pagina:
♦ La legge di Titius Bode
♦ Il calcolo dei logaritmi
♦ Il modulo di distanza
♦ Il metodo di stima delle aree
♦ La funzione logaritmica
C'era una volta...un giovinetto dotato di una mente superiore e particolarmente portato per la matematica. Era nato in Scozia nel 1550 da una famiglia nobile e si chiamava John Napier, meglio conosciuto col termine italianizzato di Nepero.
Tipo originale e stravagante, pare non si curasse molto di questa sua spiccata dote naturale, tant'è che non è mai stato un matematico professionista, come usualmente si crede. Aveva infatti preferito rivolgersi al mondo mistico della religione, tanto da iscriversi a soli 13 anni alla facoltà di teologia. Vissuto in pieno scisma anglicano, aveva pubblicato, poco più che quarantenne, un libro, frutto di un accurato studio sull'Apocalisse di Giovanni, nel quale sosteneva che verso gli ultimi anni del XVII secolo ci sarebbe stata la fine del mondo. L'opera terminava addirittura con un appello al Papa affinché accettasse di riformare la Chiesa di Roma.
Povero Nepero! Egli non avrebbe mai pensato che il suo nome sarebbe invece rimasto legato a qualcosa di molto più serio: l'invenzione dei logaritmi, uno strumento assai efficace per l'esemplificazione di alcuni calcoli.
0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11
e la seconda:
1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128, 256, 512, 1024, 2048
Prendiamo due elementi della prima progressione, ad esempio, il 4 e il 6, situati rispettivamente al 5º e al 7º posto, e sommiamoli; otterremo il 10 che è situato all'11º posto. Si considerino adesso gli elementi 5º e 7º della seconda progressione e si moltiplichino tra loro: otterremo 16×64 = 1024. Questo si trova anche lui all'11º posto.
Un altro esempio. Prendiamo il 3, che è il 4º elemento della prima progressione, e sottraiamolo dall'8, situato al 9º posto: otteniamo 5 che si colloca al 6º posto. Passiamo ora alla seconda progressione e dividiamo il numero situato al 9º posto per quello che si trova al 4º , ossia eseguiamo 256 : 8; il risultato è 32. Ma dove si trova il 32 nella seconda successione numerica? Avete indovinato: è anch'esso al 6º posto.
A questo punto il lettore potrebbe legittimamente chiedersi in cosa consiste la semplificazione in tutto ciò. Semplicemente nel fatto che questo procedimento, solo apparentemente laborioso, permette di trasformare le consuete operazioni di moltiplicazione e divisione rispettivamente in un'addizione e in una sottrazione, concettualmente più facili da eseguire. E la genialità dei logaritmi risiede proprio in questo, specialmente se valutiamo il fatto che sino a non molti decenni or sono le calcolatrici tascabili erano una realtà ancora di là da venire.
Cos'è dunque un logaritmo?
Prima di rispondere torniamo per un momento alla seconda progressione che può anche essere scritta nel modo seguente:
20, 21, 22, 23... 211
In ciascun elemento il 2 costituisce la base del numero, mentre il numerino scritto ad apice sulla destra è chiamato esponente. Per esempio il 7 è l'esponente che va assegnato al 2 per ottenere 128 (ossia 27). Si definisce pertanto "logaritmo di un numero" l'esponente cui deve essere elevata la base per ottenere quel numero. Nell'esempio riportato sopra possiamo quindi affermare che 7 è il logaritmo in base 2 di 128 e si scrive:
log2 128.
Vorremmo fosse chiaro, a questo punto, che l'unico criterio di scelta di un certa base piuttosto che di un'altra è dettato da una mera questione di comodità, a seconda dell'uso che uno intende fare dei logaritmi. Facciamo un esempio. Quando si studiano le successioni numeriche è facile imbattersi in un misterioso numero indicato con la lettera e. Non stiamo adesso a dilungarci su come si ottiene questo numero: diciamo soltanto che si tratta di un numero irrazionale, vale a dire non esprimibile sotto forma di un rapporto, esattamente come il famoso Pi Greco (π) o la radice quadrata di 2. Ciò significa che presenta, dopo la virgola, un numero infinito di decimali senza alcuno sviluppo periodico. Approssimato al milionesimo, il numero e vale 2,718281... Questo numero viene assunto come base per i cosiddetti logaritmi naturali (usualmente indicati con ln, meno comunemente con loge) e si rivela molto utile nella derivazione di certe funzioni esponenziali. Tuttavia, non sarebbe affatto comodo usare il sistema dei logaritmi naturali nella nostra vita di tutti i giorni; se dovessimo, infatti, riscrivere gli elementi della nostra seconda progressione — limitandoci ai primi 5 — facendo uso di questa nuova base, otterremmo i seguenti valori (in verità poco eloquenti):
1, 2.718281..., 7.389056..., 20.085537..., 54.598150...
essendo questi, ovviamente, i risultati di:
e0, e1, e2, e3, e4
e così via.
Per motivi pratici, dal momento che il sistema metrico decimale impera in pressoché tutto il Pianeta, è sicuramente più comodo usare come base il 10, come ben sanno coloro che si trovano alle prese con l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo. Se dovessimo, per esempio, esprimere in centimetri le dimensioni dell'Universo o in grammi il peso dell'atomo d'idrogeno senza ricorrere alle potenze, dovremmo ripiegare su una grafia estremamente scomoda da utilizzare, sia nella scrittura, sia nella lettura; preferiamo risparmiarvela. Dicendo, invece, che l'Universo conosciuto è esteso circa 1028 centimetri o che l'atomo d'idrogeno pesa poco più di 10-24 grammi, esprimiamo le misure in modo assai compatto ed elegante, evitando quindi una sfilza di 28 zeri da porre dopo l'1, nel caso del primo numero, o di 23 zeri dopo la virgola nel caso del secondo. I logaritmi in base 10, abbreviati semplicemente log, sono appunto chiamati decimali e la loro introduzione nell'affascinante mondo della matematica è dovuto a Henry Briggs, professore di geometria e amico di Nepero.
Rappresentazione schematica in scala logaritmica del Sistema Solare
I logaritmi permettono alcune importanti applicazioni, come la comoda rappresentazione di taluni diagrammi. Supponiamo di voler rappresentare in scala su un foglio di carta quadrettata le distanze dei vari pianeti dal Sole. Queste seguono, con buona approssimazione, la legge di Titius Bode la quale si basa su una progressione geometrica, simile, cioè, alla nostra seconda successione di numeri che abbiamo considerato all'inizio. Se sulla carta quadrettata ponessimo uguale a un quadretto la distanza Sole-Mercurio, che è di circa 0.4 unità astronomiche, la Terra, che si trova a 1 unità astronomica, verrebbe posta a 2 quadretti e mezzo di distanza, mentre Marte si troverebbe a 4 quadretti. Nettuno, però, mantenendo intatta la scala delle distanze fissata, andrebbe collocato a 75 quadretti, ossia fuori dal foglio! Per non parlare poi di Plutone quando si trova nei pressi dell'afelio.
Distanza Sole-α Centauri in scala logaritmica (adattato da it.quora.com/q/lospaziooltrelaterra)
Non è dunque possibile mantenere tutti i pianeti all'interno dello stesso foglio?
Certamente, ma occorre che ciascun pianeta venga sistemato non alla distanza effettiva dettata dalla scala, ma bensì al logaritmo di tale distanza. In questo modo anche se, per maggior comodità di lettura, fissassimo la distanza Sole-Mercurio in 10 quadretti anziché in uno solo, quella media di Plutone, circa 100 volte superiore, si ridurrebbe sì e no a una ventina di quadretti e resterebbe quindi con ampio margine contenuta all'interno del foglio. E ovvio che questo non rispecchia la realtà, ma per lo scopo che ci siamo prefissati, che era appunto quello di creare uno schema facilmente leggibile, ciò si rivela di secondaria importanza. Ancora più significativa diventerebbe la rappresentazione dello spazio centrato sempre sul nostro Sistema Solare, ma esteso sino ad α Centauri (circa 270-mila UA). Anche in questo caso, scegliendo opportunamente una scala, sarebbe sufficiente una singolo foglio per contenerla interamente.
Tutti gli astrofili conoscono le magnitudini stellari; sanno che la stella più brillante, Sirio, è di magnitudine -1.4; che quella della Polare è circa +2; che il limite medio delle stelle più deboli visibili a occhio nudo si colloca attorno alla magnitudine +6 e che un telescopio da 114 mm è in grado di mostrare stelle sino alla +12, e via dicendo. Ma le magnitudini stellari non sono altro che logaritmi e la scala numerica che le rappresenta è, pertanto, una scala logaritmica. Né potrebbe essere altrimenti, perché è ben noto che logaritmica è, per l'appunto, la risposta del nostro occhio agli stimoli luminosi. È infatti grazie a questa straordinaria proprietà che siamo in grado di percepire senza problemi sia il tenue barlume della Nebulosa di Andromeda, sia il bagliore di una folgore. Dal momento che l'occhio, diversamente dall'emulsione fotografica o della camera CCD, è sensibile solo alla luce che riceve istante per istante, se la risposta a questa fosse lineare rischieremmo di essere totalmente ciechi al di sotto di una certa soglia di luminosità (addio cielo stellato!), ovvero di avere la vista permanentemente menomata in caso di un'illuminazione particolarmente intensa, in quanto il solo restringimento della pupilla potrebbe non rivelarsi sufficiente a limitare un abbagliamento perenne (vedi NOTA a piè pagina).
Ipparco di Nicea
Fu Ipparco di Nicea il primo a introdurre il concetto di magnitudine stellare. Egli definì di prima grandezza le stelle più luminose e di sesta quelle appena percettibili. Le stelle di seconda grandezza erano circa 2 volte e mezzo più deboli di quelle di prima; quelle di terza 2 volte e mezzo più deboli di quelle di seconda e così via. Oggi sappiamo che un astro di magnitudo +1.0 è esattamente 100 volte più brillante di uno di +6.0, per cui se vogliamo conoscere l'esatto rapporto di luminosità tra una magnitudine e la successiva, dobbiamo dividere il numero 100 in 5 parti proporzionali, ovvero in modo tale che rimanga costante il rapporto tra un valore e quello subito precedente; ciò equivale a calcolarne la radice quinta,
ossia , che si può altresì scrivere nella forma 102/5 oppure, in modo del tutto equivalente, 100.4
Il valore della radice quinta di 100 è 2.511886 ... che, arrotondato leggermente per eccesso, si suole scrivere 2.512. Assumendo questo numero come base per un nuovo sistema di logaritmi che, dato l'argomento che stiamo trattando, potremmo definire stellari, proviamo a scrivere per la terza volta la progressione geometrica con cui abbiamo aperto questo nostro discorso:
1, 2.512, 6.310, 15.849, 39.811, 100 ...
i cui termini corrispondono rispettivamente a:
(2.512)0, (2.512)1, (2.512)2, (2.512)3, (2.512)4, (2.512)5, ...
Da quest'ultima sequenza, si vede immediatamente che i vari esponenti non sono altro che i logaritmi relativi alla nuova base 2.512, e che in questo caso rappresentano le magnitudini stellari via via decrescenti (ricordiamo, infatti, che a un maggiore valore corrisponde una minore luminosità). Esattamente come le magnitudini non sono necessariamente degli interi, così anche i vari esponenti di 2.512 possono essere numeri fratti o decimali. Se, pertanto, sappiamo che una certa stella è, per esempio, 20 volte più debole di un'altra, per conoscesse la differenza di magnitudine basterà calcolare il logaritmo stellare di 20, ossia log(2.512) 20.
C'è però un piccolo problema. Anche se perfettamente logico, questo sistema di logaritmi si rivela nella realtà poco pratico. Nessuna macchinetta calcolatrice è infatti impostata per i logaritmi stellari, ma solo per quelli naturali (ln) o per quelli decimali (log).
Qui, però, ci viene incontro una fondamentale proprietà dei logaritmi la quale afferma che il logaritmo — in una qualunque base — di un numero è uguale al logaritmo decimale dello stesso numero diviso per il logaritmo decimale della base. Traducendo in linguaggio matematico diremo che:
log (B) N = log N : log B
dove B ed N rappresentano rispettivamente una base e un numero qualunque. Se applichiamo questa proprietà al nostro esempio di prima, cioè di una stella 20 volte meno brillante di un'altra, scriveremo in modo del tutto equivalente:
log (2.512) 20 = log 20 : log 2.512
Coloro che non hanno dimestichezza col calcolo approssimato dei logaritmi possono a questo punto ricorrere alla calcolatrice. Tuttavia, il lettore che sin dall'inizio ha seguito con attenzione il nostro ragionamento avrà senz'altro indovinato a cosa è uguale il logaritmo di 2.512. Abbiamo infatti detto che questo numero non è altro che la radice quinta di 100, ossia 100.4. Ora, dal momento che, come già ribadito, il logaritmo è l'esponente che va assegnato alla base per ottenere il numero, è ovvio che il logaritmo (decimale) di 100.4 non può essere altro che 0.4! L'espressione precedente può quindi essere scritta così:
log(2.512) 20 = log 20 : 0.4
Ma dividere un numero per 0.4 equivale a moltiplicarlo per 2.5 e questo ci conduce all'espressione definitiva che è pertanto:
log (2.512) 20 = 2.5 × log20
Quindi, se una stella è 20 volte meno brillante di un'altra, avrà una magnitudo 3.25 volte superiore (log 20 è infatti circa uguale a 1.3).
La Ny Draconis è una doppia costituita da due stelle bianche entrambe di grandezza 4.9; quant'è la magnitudine totale del sistema? Se ciascuna delle due stelle ha una luminosità L, è chiaro che, prese insieme, la luminosità del sistema è raddoppiata, cioè varrà 2L. La differenza di magnitudine sarà pertanto uguale a (2.5 × log2) e quindi 0.75. Questo valore andrà sottratto a 4.9, per cui la luminosità totale della doppia diverrà equivalente a un unico astro di magnitudine 4.15.
Magnitudini delle 8 stelle più brillanti delle Pleiadi Il secondo quesito è simile al precedente, ma prevede che le due componenti siano sbilanciate in luminosità; tanto per fissare le idee, supponiamo la primaria di magnitudine 6.0 e la secondaria di 8.0. Ci chiediamo ancora qual è la magnitudine totale del sistema. Qui notiamo che se la secondaria è più debole di 2 magnitudini deve avere una luminosità (2.512)2 volte inferiore ed è quindi 6.310 volte meno brillante. Se, come prima, la primaria presenta una luminosità L, quella della secondaria dovrà essere di L / 6.310, ossia 0.158 L. La luminosità totale del sistema sarà dunque pari a L + 0.158·L = 1.158 L. La differenza di magnitudine si troverà infine risolvendo l'espressione (2.5 × log 1.158) e sottraendo il risultato alla componente più brillante. Il risultato, fatti i conti, è 5.84. Come si noterà, la stella più debole ha dato un contributo minimo alla luminosità totale del sistema e tale contributo sarà sempre più piccolo man mano che lo sbilanciamento delle componenti si fa marcato. Se, pertanto, una stella di 6ª fosse accompagnata da una di 10ª, l'aumento di luminosità sarà talmente basso che la doppia resterà a tutti gli effetti un sistema di 6ª grandezza.
Il lettore può a questo punto sbizzarrirsi in diversi modi, calcolando, per esempio, la luminosità totale delle otto stelle più brillanti delle Pleiadi, un ammasso per il quale è abbastanza facile reperire le magnitudini delle singole componenti e che per comodità ho riportato nella figura: si tratta soltanto di ripetere più volte i conti appena svolti. Gli auguriamo buon lavoro, sperando che questa breve dissertazione possa essergli stata di aiuto.
Ma prima di congedarci vorremmo ancora una volta ricordare Nepero: morì nel 1617 a 67 anni, convinto che sarebbe passato alla storia per aver predetto la fine del mondo e non per aver reso questo servigio ben più grande ai matematici e, indirettamente, anche a noi astrofili.