1 / R + 1 / R' = 1 / F
dove R è la distanza della sorgente, R' quella dell'immagine ed F la distanza focale della lente. È evidente che quando R tende all'infinito il primo addendo della formula si annulla e risulta pertanto:
R' = F
ossia l'immagine si forma direttamente sul fuoco. Quando dunque la sorgente si trova a grande distanza e l'immagine reale prodotta viene raccolta su uno schermo, è pertanto sufficiente misurare la distanza tra la lente e lo schermo per ottenere la lunghezza focale (LF) della lente.
Ma come si fa a determinare l'ingrandimento lineare fornito da una lente una volta nota la LF?
In un modo molto semplice. Si pone, convenzionalmente, che una lente da 25 centimetri di L F dia un ingrandimento uguale a 1. Il valore di 25 cm. è comunemente accettato come la cosiddetta distanza della visione distinta, ossia la distanza alla quale teniamo, ad esempio, una rivista quando leggiamo; è noto che se diminuiamo questa distanza gli occhi tendono ad affaticarsi, in quanto debbono aumentare la convergenza; d'altra parte se teniamo la rivista troppo lontana faremmo maggiore fatica a distinguerne gli usuali caratteri di stampa.
Se dunque una lente da 25 cm. fornisce un ingrandimento uguale a 1, una lente da un metro (100
cm) ne darà uno pari a 100 / 25 = 4; una da 2 metri fornirà 8 ingrandimenti e così via.
E se volessimo determinare le dimensioni lineari in millimetri sullo schermo o sulla pellicola fotografica dell'immagine che abbiamo ripreso? In questo caso dobbiamo dapprima introdurre il concetto di radiante e il modo migliore di farlo è di esaminare la figura qui a sinistra (che potete comodamente ingrandire).
Immaginiamo di staccare idealmente un raggio da una circonferenza e di piegarlo lungo la stessa sì da formare un arco; quest'arco, per definizione, è di un radiante e sottende un angolo poco superiore a 57°. Quando si esprimono le misure in modo lineare, bisogna esprimere gli angoli in radianti: se questi sono indicati in gradi sarà necessario dividerli per 57.3, se sono espressi in primi andranno divisi per 3438 (il numero di primi contenuti in un radiante) e, infine, se sono indicati in secondi d'arco occorrerà dividere il valore per 206000, vale a dire il numero di secondi contenuti in un radiante.
Supponiamo allora che si voglia calcolare le dimensioni sul negativo (o su uno schermo) della Luna quando viene fotografata al fuoco diretto di un telescopio da un metro. La Luna, com'è noto, sottende un angolo medio di circa mezzo grado, il che significa 0.009 radianti (ottenuto facendo 0.5 / 57.3). Se moltiplichiamo questo risultato per 1000, ossia la focale del telescopio in millimetri, otteniamo un valore di 9 mm.
In generale basterà dunque moltiplicare il valore dell'angolo in radianti sotteso dal soggetto per la focale dello strumento (vedi nota a piè pagina).
Quando si effettuano osservazioni visuali, tuttavia, non interessa tanto l'ingrandimento fornito dall'obbiettivo del telescopio, quanto quello risultante con l'aggiunta dell'oculare. L'importanza dell'oculare è presto detta. L'immagine che si forma nel piano focale di un obbiettivo come abbiamo visto è molto piccola; abbiamo fatto l'esempio della Luna, ma se ripetiamo il ragionamento coi pianeti ci accorgiamo che questi saranno poco più che dei punti! L'oculare serve quindi per ingrandire l'immagine prodotta dall'obbiettivo onde poterne analizzare tutti i dettagli.
Il funzionamento dell'oculare è identico a quello dell'obbiettivo: si tratta di un sistema diottrico nella maggior parte dei casi convergente (è divergente solo nell'oculare galileiano che però oggi è limitato ai piccoli, scomodi e abbastanza inutili binocoli da teatro) sul cui fuoco viene a cadere l'immagine prodotta dall'obbiettivo. Se, come abbiamo detto all'inizio, una sorgente all'infinito produce un fascio di raggi paralleli convergenti nel piano focale, è evidente che, al contrario, se la sorgente è posta in un fuoco l'immagine si forma all'infinito, ossia i raggi riemergono paralleli. In questo modo, dopo essere intercettati dall'occhio, andranno a riconvergersi sulla retina.
Esaminiamo adesso la figura qui a fianco: questa mostra 2 oculari — schematicamente rappresentati da un solo elemento, come nel caso dell'oculare kepleriano — di diversa focale. In entrambi gli oculari si nota che i raggi provenienti dalla sorgente dopo essersi rifratti attraverso la lente riemergono paralleli. Questo, come abbiamo visto nella pagina precedente, è importante quando si osserva all'oculare, in quanto l'occhio si mantiene in posizione di riposo (cioè come se osservasse all'infinito). Tuttavia l'angolo formato con l'asse della lente è maggiore nel secondo caso, ossia in quello a focale minore e ciò spiega, in modo molto schematico, perché gli oculari ingrandiscono tanto di più quanto più sono a corta focale. Come si vede dalla figura, gli oculari forniscono quindi immagini virtuali — ossia non capovolte — ingrandite e poste all'infinito. Per determinare l'ingrandimento effettivo prodotto da una lente oculare dobbiamo operare in modo simile a quanto fatto per gli obbiettivi, ma stavolta, trattandosi di immagine virtuale, dividere il numero 25 per la focale dell'oculare (e non viceversa); un oculare da 2,5 cm fornirà dunque 10 ingrandimenti, se è da 0.5 cm ne darà 50 e così via.
L'ingrandimento totale del telescopio (obbiettivo + oculare) si otterrà pertanto dall'espressione seguente, dove con F (maiuscolo) è indicata la focale dell'obbiettivo e con f (minuscolo) quella dell'oculare:
( F / 25 ) × ( 25 / f ) ossia: F / f
che conduce a un risultato tutto sommato ben noto.
È da notare, per inciso, che, in base allo schema riportato, il principio di funzionamento dell'oculare telescopico è identico a quello della lente d'ingrandimento per filatelici o dell'oculare che impiega il mastro orologiaio: in questi casi manca ovviamente l'immagine fornita dalla lente obbiettiva, ma il particolare da osservare, che in questo caso funge da sorgente, viene comunque collocato nel piano focale della lente per poter essere esaminato con agio, ossia come se tale sorgente fosse virtualmente molto lontana e non richiedesse un accomodamento forzato del cristallino.
Quando, come nel caso già considerato, i fuochi dell'obbiettivo e dell'oculare sono coincidenti, il sistema viene detto afocale: i raggi che incidono parallelamente sull'obbiettivo dopo esservi focalizzati e rifratti dall'oculare riemergono paralleli. Se tuttavia l'oculare viene estratto di una certa quantità e quindi allontanato dall'obbiettivo, allora riforma un'immagine che può essere raccolta su una pellicola o uno schermo: è il cosiddetto metodo di proiezione dell'oculare molto usato dagli astrofotografi, quando vogliono catturare i piccoli dischi planetari o i minuti particolari di un cratere lunare e per fare questo devono allungare artificialmente la focale del telescopio. Il valore della focale equivalente (Feq) così ottenuta è infatti data dalla seguente formula:
Feq = F1 × (D / F2 - 1)
dove F1 è la focale dell'obbiettivo, F2 quella dell'oculare e D la distanza tra l'oculare e lo schermo (o film fotografico) fissata dal tele-extender (è ciò che in gergo tecnico viene chiamato "tiraggio"). Se supponiamo di avere un telescopio da un metro di focale, un oculare da 5 mm e un tele-extender con tiraggio di 10 cm, otterremo una Feq di ben 25 metri, sufficiente per rivelare le principali caratteristiche planetarie come l'anello di Saturno, le bande di Giove o le fasi di Venere.