Diottro e Lente
Abbiamo visto nella pagina precedente che quando un raggio di luce passa da un mezzo a un altro con diverso n subisce il fenomeno della rifrazione, come se venisse letteralmente spezzato (tale è infatti il significato della parola). Ciò è dovuto al fatto che la luce, prodotta da un campo elettromagnetico in rapida oscillazione, viene influenzata dalle proprietà dielettriche del mezzo in cui si propaga e che ne altera la velocità.
Una volta avuta luogo la rifrazione è però importante conoscere il comportamento successivo dei raggi, come e in quale misura vengono deviati, perché in questo modo siamo in grado di stabilire anche sulla carta se, data una sorgente, si formerà o meno l'immagine corrispondente e, soprattutto, dove questa si andrà a formare.
Per fare questo è necessario introdurre dapprima un concetto che rappresenta un po' il filo conduttore di una vasta branca dell'ottica e che si trova alla base di ogni strumento d'osservazione che impiega elementi rifrangenti, persino di uno semplice come la comune lente d'ingrandimento utilizzata dai filatelici: il diottro.
Si chiama diottro un sistema costituito da due soli mezzi di differente indice di rifrazione (ad esempio aria-vetro) separati da una calotta per lo più sferica e dotata di un centro di curvatura indicato in figura con C. Mediante una costruzione geometrica molto semplice dovuta al matematico Weierstrass — che ometto per non appesantire il discorso — è possibile per ogni raggio incidente sulla superficie del diottro trovare il corrispettivo raggio emergente.
La comodità nell'introdurre il concetto di "diottro" consiste nel fatto che tutti i sistemi ottici con i quali abbiamo a che fare, compreso l'occhio umano, vengono definiti "sistemi diottrici centrati", perché è come se di fatto fossero costituiti da più diottri opportunamente allineati. Pertanto la determinazione dei principali parametri di un sistema, come ad esempio i punti immagine, si può effettuare a piccoli passi successivi, senza l'introduzione di formule complicate (è un po' come se per evitare di fare una moltiplicazione riconducessimo la stessa a una successione di somme: è forse più laborioso, ma concettualmente più semplice).
Prendiamo il caso di una lente singola. Questa si può considerare come formata da due diottri: il primo costituito da una superficie di separazione aria-vetro, il secondo da una superficie di separazione vetro-aria. In questo caso i raggi, dopo essersi rifratti attraverso un blocco di vetro opportunamente sagomato, riemergono nel 1° mezzo e convergono nel punto focale (il fuoco della lente). Potremmo dunque definire lente un sistema diottrico deputato a trasformare dei punti sorgente in punti immagine. Questa è tuttavia una definizione che si rifà a una particolare branchia dell'ottica chiamata Ottica Geometrica la quale costituisce un'ottima esemplificazione nello studio dei sistemi diottrici, ma si mostra limitativa quando analizziamo più da vicino la vera natura della luce.
Quando in astronomia — o in fotografia — parliamo di punti immagine o di fuochi diamo per scontato che questi siano entità reali, tali cioè da poter essere raccolte su uno schermo o analizzate da uno spettrografo. In questo caso si parla propriamente di immagini reali. Esistono tuttavia immagini che non possono essere raccolte e analizzate direttamente e in questo caso dobbiamo parlare di immagini virtuali. Caso tipico è quello dell'immagine riflessa in uno specchio piano: se consideriamo una situazione come quella della figura qui a sinistra, nella quale, per comodità, lo specchio è posto di taglio, si ha l'impressione che vi sia una sorgente dall'altra parte dello stesso, mentre in realtà non c'è nulla (al limite c'è il muro su cui è appeso lo specchio!). In questo caso possiamo vedere l'immagine, ma non è evidentemente possibile raccoglierla su un schermo. Lo stesso si verifica con le lenti divergenti: queste, prese singolarmente, non possono essere impiegate per la costruzione di obbiettivi; si possono al limite accoppiare a elementi convergenti (come nel caso dei vetri flint nei doppietti acromatici). Una lente divergente, dunque, può fornire solo immagini virtuali, ossia situate dalla stessa parte della sorgente, a differenza delle lenti convergenti dove l'immagine si forma dalla parte opposta. In un modo molto semplice e intuitivo possiamo anche dire che un immagine è reale se in essa realmente convergono i raggi luminosi provenienti da una sorgente; virtuale nel caso contrario.
Ricapitolando: se state cercando d'incendiare un pezzo di carta facendovi convergere i raggi del Sole con una lente d'ingrandimento avete a che fare con un'immagine reale della nostra stella (situata quindi dalla parte opposta della lente); se con la stessa lente state invece esaminando un prezioso francobollo da collezione l'immagine che vedete è virtuale, poiché è situata dalla stessa parte del francobollo.
Il contrario si verifica con gli specchi in quanto i raggi, stavolta, non vengono rifratti ma riflessi. In questo caso sarà l'immagine reale a formarsi dalla stessa parte della sorgente, mentre quella virtuale si originerà dalla parte opposta.
Abbiamo introdotto i concetti di immagine reale e virtuale perché entrambe concorrono alla formazione delle immagini che vediamo al telescopio: l'obbiettivo forma nel piano focale l'immagine reale della sorgente; questa si fa coincidere col fuoco dell'oculare che pertanto manda all'infinito l'immagine virtuale ricevuta dall'obbiettivo; e a questo punto ci pensa l'occhio a rifocalizzare il tutto sulla retina.