La Stella di Natale
(saggio pubblicato su "Le Stelle", Dicembre 2006)
I Magi
I Magi, μαγοι (maghi) nel testo greco, non erano re persiani, come si legge in una versione armena del VI secolo, la quale ci ha pure tramandato i nomi coi quali li conosciamo (Melchiorre, Gaspare e Baldassarre). Il testo di Matteo e quelli paralleli degli apocrifi che abbiamo considerato, tra l'altro, non specificano il numero di questi personaggi comunemente accettato dalla tradizione. Con ogni probabilità erano astrologi babilonesi, sapienti provenienti dalla città di Sippar dove esisteva una importante scuola di astrologia, nonché una celebre ziggurat (come la biblica «torre di Babele») che, oltre alla consueta funzione di tempio, veniva altresì impiegata come sito osservativo. Secondo Erodoto, storico greco vissuto nel V secolo A.C., i Magi erano originariamente una delle 6 tribù in cui era diviso il popolo dei Medi e successivamente presso i Persiani il nome aveva assunto il significato generico di sacerdoti. Esiste un testo arabo conservato alla Laurenziana di Firenze che li ricollega addirittura al culto di Zarathustra, fondatore della dottrina del mazdeismo, del magismo e delle pratiche esoteriche. In questo testo si legge:
«come segno della sua nascita vedrete in oriente una stella più splendente del Sole e di tutte le stelle che sono in cielo, perché infatti non sarà una stella, ma un angelo di Dio...».
Ma la piena conferma ai nostri sospetti ci giunge da un altro testo apocrifo, il Vangelo Arabo sull'Infanzia del Salvatore, risalente al Medioevo, dove all'inizio del 7° paragrafo leggiamo [7:1]:
«Nato il Signore Gesù in Betlemme di Giuda, al tempo di re Erode, ecco che dei magi vennero a Gerusalemme, come aveva predetto Zaradusht, portando seco dei doni...»
Dunque la nascita del Messia d'Israele era stata effettivamente profetizzata da Zarathustra almeno 6 secoli prima!
Non sorprende pertanto che l'astrologia, combattuta dai Profeti come pratica demonica, abbia di fatto imperato anche presso il popolo ebraico, come del resto si può notare da questo brano tratto dall'inizio della Genesi sulla creazione del mondo e appartenente al Codice Sacerdotale (chiamato anche Codice P da Priestercodex), redatto durante l'Esilio:
«Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni...».

La creazione del sole e della luna (Cappella Sistina)
Segue quindi la creazione del lume maggiore per regolare il giorno (ovviamente il Sole), di quello minore per la notte (la Luna) e delle stelle. Se da un lato troviamo un inciso analogo nel Salmo 104, ove si legge che «Per segnare le stagioni hai fatto la Luna e il Sole», è anche vero che quei "segni" di cui si parla nella Genesi racchiudono un significato più recondito di semplici indicatori di stagione. Infatti il termine ebraico tradotto con «segni» è "othot", derivante dal verbo "atha" che significa succedere, capitare, mostrarsi; 'othot' si può quindi tradurre «cose future», «cose che stanno per verificarsi», «avvertimenti», con palese riferimento alle predizioni astrologiche che scaturivano dallo studio dei fenomeni celesti. Evidentemente i sacerdoti dell'antico Israele, di nobile stirpe sadducea e che accettavano come ispirati solo i primi cinque libri della Torah, non avevano remore a trarre vaticini dall'osservazione del cielo. Pertanto questo segno che avrebbe guidato i Magi dall'oriente sino a Gerusalemme poteva essere benissimo considerato, presso gli stessi sacerdoti, un messaggio col quale la Divinità, come già in uso presso i pagani, rendeva noti i suoi disegni a chi era in grado di interpretarli. Ma cosa avevano visto esattamente i Magi?
Si deve notare che tutte le fonti sopra considerate non parlano mai di una cometa, ma di una stella (αστηρ, astìr, nel testo greco). Tuttavia sappiamo bene che «cometa» è un termine di origine greca che significa «chiomata» e quindi un aggettivo. Il termine corretto per indicare questi bellissimi astri chiomati, anche se oggidì è rimasto quasi totalmente relegato nel gergo popolaresco, dovrebbe dunque essere «stella cometa», che in greco suonerebbe αστηρ κομητης, astìr komitìs e in latino sidus comatum (1). Inoltre i Greci impiegavano lo stesso termine anche in riferimento ai pianeti: Αστηρ Διος (stella di Zeus, ossia Giove), Αστηρ Αφροδιτης (stella di Afrodite, ossia Venere). Pertanto la parola αστηρ di per sé non è dirimente ai fini di stabilire la natura precisa dell'oggetto in questione.
A dire la verità la letteratura sulla Stella di Natale, che è poi la materia della nostra dissertazione, è molto vasta e forse mai come in questo caso la fantasia degli uomini si è sbizzarrita nel corso dei secoli con le ipotesi più disparate. Ne possiamo schematicamente elencare 8:
  1. un simbolo: la luce che sconfigge le tenebre, una concezione tipica del dualismo cosmico dell'Avesta, il libro sacro dello Zoroastrismo;
  2. una pia leggenda raccolta da Matteo e inclusa nel suo racconto storico, nonché successivamente rielaborata dagli anonimi autori dei vangeli pseudo-epigrafici;
  3. un angelo, una potenza demonica o comunque qualcosa di miracoloso e quindi non sondabile dalla ragione umana (era l'ipotesi prediletta dei Padri della Chiesa per spogliare l'evento di qualunque significato astrologico);
  4. un disco volante o un'astronave di una civiltà aliena;
  5. il pianeta Venere;
  6. una cometa vera e propria, anche se magari non particolarmente brillante;
  7. una nova o supernova;
  8. una congiunzione planetaria.
Per i fini che ci siamo prefissati ci limiteremo, ovviamente, a considerare solo le ultime quattro. Ma anche la quinta ipotesi si può comunque facilmente scartare: è vero infatti che Venere in certi periodi è un oggetto particolarmente splendente, al punto da penetrare le brume dell'orizzonte, brillando di una luce cinerea e talvolta spettrale; tuttavia è assai improbabile che i Magi avessero intrapreso un viaggio così lungo per Venere, sapendo bene cos'era, come si muoveva e soprattutto che non vi era nulla di strano nel suo splendore.
L'ipotesi della cometa è sempre stata, sino a non molto tempo fa, quella più gettonata, se non altro perché si era affermata come un simbolo dell'iconografia cristiana, soprattutto a partire dal secolo XIV con la raffigurazione che ne fece Giotto nell'Adorazione dei Magi della Cappella degli Scrovegni a Padova. Questo affresco è stato eseguito nel 1304 quando evidentemente era ancora vivo nella mente dell'artista il passaggio della cometa di Halley nel 1301. Alcuni studiosi hanno obbiettato che la cometa in questione non fosse quella di Halley, ma un'altra apparsa poco dopo, in quanto sul dipinto è raffigurata rossastra, mentre secondo le cronache cinesi la Halley appariva bianca. E' un'ipotesi da considerare, anche se come astrofili sappiamo bene come gli oggetti brillanti tendano ad arrossarsi quando sono avvolti dalla foschia o sono bassi sull'orizzonte (si pensi, ad esempio, al disco lunare appena sorto o prossimo al tramonto). Una cosa è comunque certa: la rappresentazione di Giotto è la prima veramente realistica di una cometa che si conosca nel mondo occidentale.
L'ipotesi cometaria s'inquadrava bene anche per un altro motivo: questi oggetti misteriosi che di sovente sembrano apparire repentinamente dal nulla e sparire con altrettanta rapidità, erano ritenuti forieri di buoni o cattivi auspici e non di rado erano messi in relazione con avvenimenti importanti a livello politico come mutamenti di potere; lo stesso Tacito, nei suoi Annales, parlava di una cometa apparsa nell'anno 60 che aveva fatto sperare in una cacciata di Nerone dal trono.
Da notare, per inciso, che in oriente, in quella terra di Shumer dov'è nata l'astronomia che noi conosciamo, le comete erano ritenuti corpi celesti già a partire dal II millennio A.C., contrariamente, quindi, al pensiero aristotelico, che ha dominato incontrastato per quasi due millenni e che le vedeva invece relegate al corruttibile mondo sublunare. Tuttavia la stella che guidò i Magi non poté essere la cometa di Halley — così come certamente non si trattò di nessun'altra cometa brillante — ma non tanto per il transito avvenuto nel 12 A.C. e ritenuto troppo anticipato, come vedremo dopo, bensì perché una cometa brillante sarebbe stata certamente scorta da tutti ed Erode non si sarebbe trovato nell'imbarazzo di interrogare i Magi in privato per averne notizia.

Origene di Alessandria
Potrebbe invece essersi trattato di una cometa molto debole, visibile a mala pena a occhio nudo; in tal caso sarebbe passata del tutto inosservata alla gente comune, ma non sarebbe certo sfuggita all'occhio vigile degli astronomi (o degli astrologi: a quei tempi non c'era differenza tra le due discipline). In tal caso l'enfasi data alla sua luminosità nei racconti che abbiamo considerato sarebbe puramente simbolica e da ricollegarsi solo in ciò che avrebbe rappresentato. Ad ogni modo, rintracciare una cometa debole transitata più di 2000 anni fa è un'impresa che non invidio a nessuno!
Per quanto riguarda la 7ª ipotesi, quella della nova, c'è da dire che anche qui piove sul bagnato. Si tratta di un'ipotesi antichissima che risale a Origene, teologo vissuto ad Alessandria agli inizi del III secolo. Egli riteneva che «la stella apparsa ai Magi nell'Oriente sia stata un nuovo astro, senza nulla in comune con quelli che ci si mostrano nel firmamento o nell'atmosfera più bassa. Presumibilmente fu una di quelle meteore che sogliono comparire di tanto in tanto e che i Greci distinguono chiamandole, secondo la loro forma, ora comete, ora travi infuocate, ora stelle caudate, ora botti e con altri nomi ancora» (Contra Celsum, Libro I, Cap LVIII). In quest'opera, per la verità piuttosto prolissa, Origene si richiama al trattato sulle comete del filosofo alessandrino Cheremone vissuto nel I secolo ed è sicuramente tra i primi commentatori dell'era cristiana a sostenere vivamente la realtà astronomica dell'evento che secondo le concezioni astrologiche, come sopra accennato, veniva interpretato alla stregua di un mutamento politico. Se noi siamo soliti dire che «morto un papa se ne fa un altro», a quei tempi di diceva, in certi ambienti, «nova stella, novus rex». Tuttavia anche per una nova (il «nuovo astro») valgono le stesse considerazioni fatte a proposito delle comete e cioè che sarebbe stata sicuramente vista anche da Gerusalemme. I sommi sacerdoti, al limite, avrebbero potuto informarsi dai Magi sul significato astrologico dell'evento, ma non su quando la stella era loro apparsa.
Resta da considerare l'ultima ipotesi, quella della congiunzione planetaria, sicuramente la più accreditata e che sembra meglio di tutte collocare i tasselli del puzzle al loro posto. Per la verità anche quest'ipotesi è molto più antica di quanto non si creda, perché risale a Keplero. Purtroppo questo grande e sfortunato scienziato, contemporaneo di Galileo, si perdeva così facilmente nel mondo della mistica che gli astronomi hanno sempre lasciato cadere nell'oblio la sua ipotesi per riesumarla solo in tempi relativamente recenti.
Torneremo presto su questo punto, ma solo dopo aver inquadrato a grandi linee la data dell'avvenimento.

NOTA – A proposito di "astri chiomati" o "dalla lunga chioma" può essere divertente un aneddoto riferito a Vespasiano che, a quanto pare, era dotato di un gran senso dell'humour. Le comete, come si legge nel corso dell'articolo, erano spesso ritenute di cattivo auspicio. Quando ne apparve una nell'anno 79 l'imperatore ci scherzò sopra dicendo che si riferiva all'imminente caduta del re dei Parti (nemici giurati di Roma che guardavano con apprensione all'espansione della Superpotenza in Medio Oriente) il quale portava lunghi capelli, mentre lui era calvo. Vespasiano morì lo stesso anno!

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