L'Occhio Umano
Dal momento che questo sito si occupa prevalentemente di osservazione visuale, sarà opportuno spendere qualche parola sul funzionamento dell'occhio umano, cosa che a grandi linee è nota a tutti.

L'occhio è un sistema diottrico centrato costituito da diversi elementi rifrangenti che nell'ordine sono:

  • cornea
  • umor acqueo
  • cristallino
  • umor vitreo

Schema e struttura dell'occhio
La cornea è una sottile pellicola trasparente che chiude anteriormente l'occhio ed è foggiata a calotta sferica (almeno nell'occhio normale o emmetrope). Se anziché questa forma ne avesse una diversa, ossia con raggi di curvatura diversi a seconda della direzione, come nel caso di molti individui, subentrerebbe il fastidioso difetto dell'astigmatismo.
L'umor acqueo, come dice la parola, è un liquido salino interposto tra la cornea e il cristallino e ha lo scopo, mediante una lieve pressione sulla parete interna della cornea, di mantenerne la forma.

Interno dell'occhio
Il cristallino funziona come una lente biconvessa con curvature differenti ed è costituito da diversi strati sovrapposti a guisa di cipolla; purtroppo tende a opacizzarsi con l'età o a causa di agenti ionizzanti, come i raggi ultravioletti, e quando l'opacizzazione è tale da compromettere una visione distinta degli oggetti (cataratta) se ne rende necessaria la rimozione. Il cristallino è connesso all'interno dell'occhio da fibre muscolari che gli permettono di variarne la curvatura e di conseguenza la focale equivalente, che in condizioni normali è di circa 16 mm — corrispondente alla distanza tra il centro di curvatura del sistema e la retina — di modo da far cadere su quest'ultima il piano focale dell'immagine (accomodamento del cristallino).
L'umor vitreo, infine, è una sostanza gelatinosa che riempie totalmente l'occhio di modo da mantenergli la sua forma sferica.
Questi 4 elementi (cornea, umor acqueo, cristallino e umor vitreo) deputati a far convergere sulla retina i raggi luminosi, hanno un indice di rifrazione simile a quello dell'acqua salata. Questo è il motivo per cui la visione subacquea, effettuata senza l'apposita maschera, è così confusa: immergendo infatti l'occhio in un mezzo che ha più o meno lo stesso indice di rifrazione, i raggi luminosi non deviano e quindi non sono in grado di focalizzarsi.


Struttura schenatica della retina
La retina è giustamente ritenuta la parte più importante dell'organo visivo. Essa tappezza interiormente tutto l'occhio ed è una struttura assai complessa. A noi interessa la parte posteriore dove si addensano i fotoricettori, ossia i coni, attivati in visione diurna, e i bastoncelli, più grandi, e maggiormente sensibili alla luce grazie a un pigmento particolare che li ricopre chiamato rodopsina o porpora retinica che si forma a bassissimi livelli d'illuminazione; sono quindi impiegati nella visione notturna, ma, a differenza dei coni, non sono sensibili ai colori (vedi nota). La rodopsina viene distrutta velocemente dalla luce intensa, ma non appena questa cessa si riforma subito. Questo fatto, che costituisce il ben noto adattamento all'oscurità, è molto importante, sopratutto quando ci si trova sul campo osservativo; a parte le fastidiose luci bianche di torce poco schermate, anche un crescente lunare, che pure è molto meno intenso della luna piena e spesso costituisce uno dei primi bersagli telescopici, può inibire l'osservazione di una debole galassia se viene effettuata subito dopo. L'adattamento all'oscurità dipende, ovviamente, dall'intensità luminosa cui siamo stati sottoposti precedentemente: è già buona dopo un quarto d'ora, ma se vogliamo sfruttare il massimo della potenzialità visiva occorre aspettare un paio d'ore.

Ingrandimento di una porzione della retina

Ingrandimento della fovea centralis
Osservando l'interno dell'occhio si nota una piccola zona chiamata macula lutea, meglio nota come fovea centralis in cui i coni sono particolarmente addensati: è la zona preposta alla visione distinta e dove è quindi massima l'acuità visiva. In altri termini, quando fissiamo un oggetto facciamo automaticamente cadere l'immagine sulla fovea. Al di fuori di questa, l'acuità visiva diminuisce drasticamente: ad appena 10 gradi di distanza dall'asse visivo è ridotta ad appena il 20%! Non è difficile rendersi conto di questo fatto: in un testo scritto (cartaceo o anche a video come quello che state leggendo) provate a fissare la concentrazione su una singola parola: vi accorgerete che la parole precedente e seguente a quella che state fissando appaiono già meno definite.
È altresì importante notare il punto dove il nervo ottico si annette alla retina: questa zona, chiamata punto cieco, è completamente insensibile alla luce e di questo dobbiamo tenerne conto quando impieghiamo la visione distolta nell'osservazione di oggetti deboli.
Un'altra parte importante dell'occhio è la coroide (si riveda lo schema all'inizio della pagina), un tessuto scuro ricco di melanina che avvolge esteriormente la retina e che ha la funzione di assorbire la luce che filtrando, appunto, attraverso la retina potrebbe causare una perdita di contrasto delle immagini. È un po' lo stesso motivo per cui l'interno dei telescopi si dipinge di nero. La coroide quando arriva verso la parte anteriore dell'occhio si flette all'indietro andando a costituire un tramezzo, l'iride, nel cui foro centrale, la pupilla, passa la luce.
In milioni di anni di storia evolutiva il picco di sensibilità dell'occhio si è manifestato in corrispondenza del massimo di emissione solare; questo, di per sé, non è un fatto logicamente necessario ai fini dell'adattamento all'ambiente o alla sopravvivenza della specie umana: ad esempio, una sensibilità oculare in corrispondenza della finestra infrarossa sarebbe stata sicuramente utile quando gli esseri umani, vivendo allo stato brado come avviene ancora oggi presso molte tribù, avevano la necessità di scorgere nottetempo prede e predatori; d'altra parte l'evoluzione biologica è un fenomeno altamente complesso che non segue una linea predefinita, ma procede per tentativi in direzioni abbastanza casuali, a volte sfruttando progetti già sperimentati in precedenza per evitare il dispendio di dover ripartire ogni volta da zero. Se dunque il Sole emette — in prima approssimazione — come un corpo nero alla temperatura di 5800 K°, il picco di emissione si ha in corrispondenza della luce giallo-verde. Ma questo è vero solo per la visione diurna (visione fotopica), mentre per quella notturna ha luogo il cosiddetto Effetto Purkinje che si manifesta con uno spostamento verso lunghezze d'onda minori (visione scotopica). È questo il motivo per cui, ad esempio, un panorama innevato illuminato da un plenilunio ci appare di una tonalità più azzurrina, anche se la Luna possiede lo stesso identico spettro del Sole. Dal momento che i bastoncelli sono maggiormente concentrati nella la parte periferica della retina, è ovvio che la visione scotopica non permette un'osservazione dettagliata del soggetto, in base a quanto abbiamo spiegato precedentemente. Diviene invece importante nella cosiddetta visione distolta, in quanto permette di cogliere tenui evanescenze luminose là dove la visione diretta (fotopica) fallisce. Un luogo comune da sfatare, è invece la convinzione, ancora molto diffusa, che i bastoncelli siano meno sensibili dei coni alla luce rossa. In realtà, la sensibilità retinica in questa parte dello spettro è pressoché identica per due tipi di ricettori, come dimostra l'immagine qui sopra adattata dal mensile Sky and Telescope.

Non possiamo però negare che l'occhio umano possegga alcuni pregi importanti.
Innanzitutto dobbiamo considerare la risposta agli stimoli luminosi che è di tipo logaritmico; ciò significa che siamo in grado di percepire sia il bagliore di una folgore, sia la luce tremolante di una stella. Se così non fosse, se cioè la risposta del nostro occhio fosse solo lineare, saremmo completamente ciechi al di sotto di un certo livello d'illuminazione o costantemente abbagliati in presenza di luci molto forti, con la conseguente incapacità di poter svolgere la stragrande maggioranza delle nostre attività quotidiane.
Un altro vantaggio dell'occhio è quello di autoregolare la messa a fuoco, cosa che avviene tramite il processo di accomodazione del cristallino; in tal modo non dobbiamo fare alcuna fatica a vedere distintamente una stella e subito dopo consultare una cartina celeste. Purtroppo questo fenomeno viene meno con l'età e dopo i 40 anni diventa molto difficile autoregolare la messa fuoco al di sopra delle 4 diottrie (25 cm).
Altro pregio è la diaframmatura automatica della pupilla che regola la quantità di luce che arriva alla retina: la pupilla, infatti, si dilata al valore massimo di circa 7 millimetri quando l'ambiente è scuro e si restringe a meno di un millimetro in presenza di panorami fortemente illuminati. Anche questo, tuttavia, è vincolato all'età del soggetto: dopo i 40 anni è piuttosto rara una dilatazione pupillare superiore ai 6 mm.
Purtroppo questi tre pregi sono compensati da altrettanti difetti:

1) Aberrazione sferica
Quando la pupilla è dilatata al massimo, la visione perde contrasto e l'acuità visiva di conseguenza diminuisce; potete sperimentarlo sulla celebre Epsilon Lyrae: probabilmente non riuscirete a sdoppiarla fissandola direttamente, mentre è abbastanza semplice intuirne la duplicità osservandola attraverso un cartoncino nero con due piccoli fori del diametro di un paio di millimetri sistemati a distanza interpupillare.

2) Minimo campo di visione distinta

struttura schematica della retina
Fissate la vostra attenzione su una parola qualunque di questa pagina: v'accorgerete che le quelle immediatamente precedente e successiva appaiono poco chiare. Ciò è imputabile alla dimensione estremamente ridotta della fovea ove si addensano i coni la quale fa sì che il campo di buona definizione sia ridotto praticamente a un punto. Si può determinare sperimentalmente che l'acuità visiva ad appena 10 gradi dalla fovea è già diminuita di 1/4 (ossia del 25%), mentre è ridotta a sì e no il 3% a 40 gradi dal punto di fissazione!

3) Limitatezza del potere risolutivo
Secondo la nota formula del limite di Dawes sul potere risolutivo, se noi dividiamo il numero 120 (una costante) per 7 (diametro massimo della pupilla) otteniamo il valore di 17 secondi d'arco che dovrebbe essere il potere separatore dell'occhio. Tuttavia l'occhio è in grado di distinguere due punti vicini solo se questi sottendono un arco di almeno un primo e comunque in un ambiente ben illuminato. La causa di questo va ricercata nella struttura retinica che è schematicamente rappresentabile come un favo: dalla figura qui sopra si vede che se due stimoli luminosi colpiscono due cellette contigue (a sinistra) il cervello li interpreta come unico segnale; nel secondo caso, invece, la la presenza di una celletta non eccitata avverte il cervello che gli stimoli luminosi sono effettivamente due. Il potere risolutivo dell'occhio è quindi determinato dalla dimensione delle celle: se queste sono di circa 5 micron (0,005 mm) e se la focale del sistema cornea-cristallino è di 16 mm l'angolo sotteso da una celletta è di circa 60 secondi (si determina, cioè, calcolando l'arcotangente di 0.005 / 16).

NOTA – non è difficile rendersi conto di questo fatto quando siamo, ad esempio, sul campo a fare osservazioni: dopo esserci ben adattati all'oscurità, ci accorgeremo che siamo in grado di percepire ogni cosa intorno a noi, i telescopi, le auto, gli alberi; sennonché li vediamo tutti in bianco e nero – torna al punto di prima.

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