Il gatto: l'animaletto più bello inventato da madre natura
Quando nel 2008 io e mia moglie abbiamo comprato una villetta condominiale in un paesino sopra il lago di Como, c'erano due bellissime gatte soriane, sorelle, ultime discendenti rimaste di un'antica colonia (entrambe immortalate nelle prime due immagini di questa pagina) e che purtroppo dopo tanti anni sono mancate, con gran dispiacere. Erano selvatiche, nate, cresciute e sempre vissute allo stato brado. Avevamo iniziato a circuirle, adescandole con gustose prelibatezze, non scarti di cucina, ma cibi acquistati nei supermercati e appositamente preparati per loro. Ebbene, nel giro di un annetto erano diventate due simpatiche e affettuose coccolone. Peccato solo che non fosse mai corso buon sangue tra loro...
Col tempo i graziosi amichetti a quattro zampe sono sensibilmente aumentati e sino a pochi anni fa eravamo arrivati ad accudirne oltre venti! Molti sono però inspiegabilmente scomparsi in circostanze mai chiarite, tant'è che oggi il loro numero si è ridotto a meno di una decina. Si tratta o di randagi, o di graditi intrusi provenienti da villette limitrofe; devono essersi passata la parola, perché quando siamo su sono quasi sempre da noi: evidentemente sanno di trovare pronta una carezza, ma soprattutto un piattino con un pranzetto appetitoso. E dopo mangiato c'è chi se ne torna alle proprie faccende, silenziosamente com'era venuto (mi pare di sentirlo mormorare: «bene, è stato un piacere; ci vediamo per cena e sii puntuale!»); c'è invece chi rimane nei dintorni e si spaparanza beato per godersi finalmente un meritato riposo. Alcuni poi mi si accoccolano in grembo quando sono in terrazza a leggere e a volte mi capita di assistere divertito a vere e proprie liti per contendersi il posto. Come se sbottassero: «e spostati, ché voglio starci un po' anch'io»; oppure: «adesso tocca a me, vattene!». Non di rado ne ho un paio in braccio, ma mi è anche capitato che fossero in tre e oltre. Una volta, ad esempio, mentre me ne stavo comodamente disteso su una sdraio durante un abbiocco pomeridiano, ne avevo addosso ben cinque! Mi pareva di essere sotto una trapunta riscaldata, perché la temperatura corporea di un gatto sano supera mediamente i 38°C.
La terrazza è da tempo diventata una sorta di mini condominio: ho rimosso il tavolo e la panca per fare posto a una serie di ⇒ casette, spaziose e imbottite con vecchie coperte di lana (recentemente sostituite da pezze termiche autoriscaldanti). Così anche nei mesi più freddi i simpatici ospiti hanno un loro confortevole riparo. Di fianco alla porta d'ingresso ho poi collocato ⇒ dispenser, ciotole e ciotoline sempre ricolmi di gustosi croccantini per sostentarli durante la nostra assenza.
Sì, lo ammetto e lo avrete certamente capito: adoro queste bestiole e non mi vergogno a dire che provo più affetto per loro di quanto ne provi per la maggior parte dei miei simili (compresi alcuni parenti). E ogni micetto scomparso ha sempre lasciato un vuoto sgradevole durante la mia permanenza lì in campagna.

Ma perché mi piacciono tanto i gatti, vi sarete chiesti?
Per un motivo tanto semplice, quanto scontato: il gatto è bello. È un animaletto esteticamente grazioso, proporzionato, con ogni particolare al posto giusto; non è troppo piccolo (come uno scoiattolo o un moscardino), né troppo grande (come un cane di media taglia). E poi è misterioso, discreto, introverso, filosofo; spirito libero e riservato; curioso e giocherellone, ma non invadente; pulitissimo, non puzza mai, nemmeno quando è bagnato di pioggia. È pur vero che il gatto è anche imprevedibile, sornione, furbacchione, opportunista, a volte fedifrago e traditore; tutte caratteristiche che in un essere umano mi farebbero esclamare «alla larga da uno così!». Eppure nel gatto sono anche queste caratteristiche che, a loro modo, me lo rendono così simpatico. Perché nel grazioso felino, come del resto in tutti gli animali, non esiste malevolenza, né cattiveria, né tanto meno premeditazione: il gatto si comporta semplicemente come madre natura gli ha insegnato. E se tormenta un topo, una lucertola o un povero uccellino (come diavolo fa ad acchiapparlo lo sa solo lui!) prima di ucciderlo anche soltanto per gioco, lo fa unicamente rispondendo al proprio istinto di autentico e ancestrale predatore.
È impossibile sapere cosa frulla nella mente di un gatto. Quando lo vedi seduto con la coda raccolta, assorto, lo sguardo serio apparentemente perso nel nulla e talvolta persino insensibile ai tuoi richiami, non puoi capire se sta semplicemente contemplando un panorama, se sta pensando a come fregarti, o se è alle prese con un problema esistenziale; meglio comunque non disturbarlo in tali circostanze. Per non parlare di quando certe volte ti fissa con i suoi occhi ammalianti (vedi): c'è da sentirsi seriamente imbarazzati e chiedersi se hai combinato qualcosa: magari l'hai involontariamente offeso; o forse non gli hai prestato la dovuta attenzione.
Se poi vogliamo restare in vena di battute aggiungo anche che il gatto è un grande maestro di vita: mangia e beve, si trastulla e si fa coccolare, passa ore intere a farsi delle macro dormite quotidiane ... e non fa nulla tutto il giorno. Insomma, un mantenuto di prima classe (riuscireste forse a immaginare un gatto che lavora?!).
Da ultimo sa scegliere: se il cane è il miglior amico dell'uomo (così almeno si dice), è invece l'uomo il miglior amico del gatto. In altre parole, è il felino che sceglie il compagno al quale dimostrare il proprio affetto, non viceversa; e se non gli vai a genio sta' pur certo che non riuscirai a conquistare la sua simpatia ed entrare nelle sue grazie.
«Ma se ti piacciono tanto i gatti, perché non te ne prendi uno?» mi sento chiedere spesso.
Perché anche se ci siamo trasferiti in Brianza, abitiamo all'ultimo piano di un condominio dove l'unico sfogo che potrebbe avere sono alcuni terrazzi adornati da fiori e qualche piantina; troppo poco per un gatto di natura abituato agli spazi aperti. D'altra parte non mi sentirei di lasciarlo pascolare nel giardino condominiale, perché sicuramente qualcuno avrebbe da ridire. E a tenerlo chiuso in casa sembra quasi di fargli un torto: in fondo è un animaletto tendenzialmente selvatico e indipendente; malgrado l'appellativo di domestico che gli hanno affibbiato gli umani non è mai completamente addomesticabile (caso mai è vero il contrario: è il gatto che riesce ad addomesticare noi!).
«Ma se un gattino l'abitui sin da piccolo a stare in appartamento si adatta facilmente»; ribattono.
Sarà forse anche vero. Ma perché dovrei abituare una povera bestiola a crescere in cattività quando potrebbe sin da piccola godersi la libertà scorrazzando su un prato o arrampicandosi su un albero? Sarebbe il mio un vero amore per il gatto? O piuttosto una forma di velato egoismo?
Mi accontento dunque di stare con loro quando sono in campagna. Quando arriviamo li troviamo spesso affamati, e di fatto per prima cosa li rifocilliamo a volontà. Ma tutto sommato vedo che stanno bene, sono cicciotti e hanno un bel pelo morbido. Credo che forzati nello spazio comunque angusto di un appartamento senza il verde cui sono avvezzi potrebbero anche ammalarsi.
Desidero chiudere con un celebre aforisma dello scrittore e drammaturgo Joseph Méry seguito da un'importante considerazione: "Dio creò il gatto per dare all'uomo la gioia di accarezzare la tigre". Questo fa pensare a un dettaglio non certo secondario: è stato infatti scientificamente dimostrato che accarezzare un gatto, ascoltandone le fusa, ha un effetto benefico sulla salute, perché diminuisce lo stress, aumenta il buon umore e fa bene al cuore. In parole povere ci allunga la vita. E allora viva il gatto, questo gran simpaticone!

P.S. — se siete amanti dei gatti non perdetevi questa ⇒ magnifica chicca (si legge in un pomeriggio)

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